Quanto è vicina la fine del capitalismo?
di Claudio Bricchi
In questo caso le avvisaglie della sua fine sono abbastanza evidenti, a cominciare dal fatto che una crescente percentuale di popolazione, dei Paesi benestanti, ha cominciato a vedere il capitalismo ed i suoi effetti sulla società come non più riformabili.
Il sistema fallisce il suo obiettivo principale, che non è solo il benessere bensì creare speranza, la fiducia dei cittadini nella possibilità di arrivare ad un futuro migliore dell’attuale. Se si ha la sensazione che il futuro sarà peggiore del presente, già di per sé non tanto piacevole, si è maggiormente disposti ad abbracciare narrazioni alquanto inconsistenti come i vari populismi, un nuovo modo di definire il nazionalismo. In Europa dovremmo conoscere bene il fenomeno, non fosse altro per il fatto che negli ultimi cento anni ci ha regalato due guerre mondiali.
Ma torniamo al Capitalismo; la crescente mancanza di fiducia in esso, anche se è un sintomo allarmante, non è sufficiente a decretarne la morte imminente, dobbiamo perciò allargare il campo dell’analisi ad altri fattori, il primo dei quali è ormai ben conosciuto da studiosi di varie estrazioni, ed ha a che fare con la natura rapace di questo sistema. Si può sintetizzare così: le risorse mondiali atte a sostenere una popolazione che, nel 2050 arriverà a sfiorare i dieci miliardi di persone, non saranno sufficienti se sfruttate a scopo di profitto.
In altre parole la coperta è già ora troppo corta ma in venti o trent’anni lo sarà in maniera intollerabile. Sappiamo che nel prossimo futuro crisi alimentari, guerre per l’acqua e risorse fondamentali per lo sviluppo umano saranno inevitabili e che probabilmente il sistema attuale, a cominciare dalla democrazia liberale, non sarà in grado di arginarle. Uno dei pochi vantaggi della globalizzazione è sicuramente quello di permettere alle idee di circolare per il mondo alla velocità del pensiero. Così è piuttosto facile per un europeo vedere dal salotto di casa l’enorme quantità di ingiustizia, di disuguaglianza e sofferenza che in tempo reale sta accadendo nei continenti più sfortunati. Il progresso tecnologico permette anche il contrario, e così ora possiamo anche noi essere osservati in tempo reale e magari qualcuno in Africa si chiede come sia possibile che popoli più fortunati siano così insensibili di fronte alle evidenti disparità del destino.
Dovrebbe essere logico, perciò, iniziare a pensare a delle soluzioni e abbastanza in fretta. Al contrario della lotta al cambiamento climatico, che solo dopo decine di anni di sensibilizzazione viene posta in essere principalmente in Europa, il cambiamento di prospettiva che è richiesto dalla crisi del capitalismo dovrebbe diventare globale.
Il Capitalismo si è sviluppato nella seconda metà del diciottesimo secolo in Inghilterra per rispondere ai bisogni creati dell’esplosione demografica avvenuta col progresso agricolo. L’invenzione delle macchine a vapore e lo sviluppo dell’industria tessile ha dato un’occupazione alle masse utilizzandole anche come soldati per l’avventura coloniale.
Un sistema perfetto per garantire il benessere per più di due secoli al cosiddetto mondo sviluppato. Il resto del pianeta era quasi invisibile ed aveva valore solo in base alla sua utilità.
Siamo ad una svolta, proprio come è stato all’inizio del Capitalismo, ora c’è un’esplosione demografica, ma questa volta mondiale, proprio come allora la tecnologia mette a disposizione nuovi strumenti impensabili fino a pochi anni fa e proprio come allora sta forse all’agricoltura fare il primo passo.
Jacob L. Shapiro scienziato a Princeton sostiene che la competizione sulle macchine che apprendono, in atto tra Usa e Cina per il dominio della quarta rivoluzione industriale, non sarà decisa nelle applicazioni belliche, ma inizierà dall’uso dell’intelligenza artificiale in agricoltura.
Aggiungiamo noi però che serve una rivoluzione nel modo di pensare. Sottolinea Shapiro ”L’intelligenza artificiale promette un insieme di droni, robot e sistemi autonomi in grado di monitorare le coltivazioni in tempo reale e di prendere decisioni su quanto irrigare, quanto fertilizzante usare, quando raccogliere per massimizzare la resa. In un mondo dove si spreca tra il 20 ed il 40 % di quanto si produce, a causa di inefficienze o a causa del trasporto, l’uso agricolo dell’intelligenza artificiale potrebbe trasformare intere società”.
Bisogna dare ad ogni paese del mondo la possibilità di arrivare all’autosufficienza alimentare almeno per quel che riguarda le colture basilari.
È perciò chiaro che con l’attuale sistema socio-economico si corre verso il disastro. Sia il Capitalismo di stampo liberal-democratico occidentale sia quello dirigistico cinese non sono in grado di dar da mangiare al mondo. La svolta sta in un sistema che guardi prima di tutto a soddisfare i bisogni primari della società.
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