I rischi delle delocalizzazioni anche nel mondo cooperativo
Per essere competitivi sul mercato globale ed abbattere i costi di produzione e del lavoro, è da anni che si assiste impotenti al fenomeno delle delocalizzazioni, cioè il trasferimento transnazionale dei processi produttivi con la manodopera assunta localmente nel paese ospitante ove si applicano le norme del lavoro vigenti e non quelle del Paese di origine: bassi salari, orari di lavoro estenuanti, diritti del lavoro inferiori e condizioni di lavoro insicure.
La maggior parte delle cooperative nel mondo ha dimensioni modeste e se fossero imprese non cooperative sarebbero gestite come normali aziende imprenditoriali, però esistono casi di cooperative che sono diventate multinazionali.
Per questa ragione, anche nel mondo cooperativo si è affermata da anni un’idea che certe cooperative possano sopravvivere solo se ragionano da multinazionale. In Italia abbiamo il caso della CMC di Ravenna nel settore immobiliare e dell’edilizia.
Nasce spontanea una domanda: non è che per rendere forti i valori cooperativi, serva a tutti i costi utilizzare gli stessi strumenti di sfruttamento delle risorse locali e del lavoro delle multinazionali capitaliste?
Alcune realtà industriali partecipate dai soci lavoratori sono cresciute in molti Paesi, spesso superando altre imprese sia in termini di crescita, che di occupazione. Il gruppo multinazionale Mondragon ne è esempio ed è riuscito a garantire localmente nei Paesi Baschi posti di lavoro stabili ed applicando la giustizia retributiva su base locale. Invece nei processi di delocalizzazione all’estero non è riuscita purtroppo ad esportare tale modello partecipativo. Da qui molte critiche per via dei compromessi al ribasso in diverse regioni deboli del mondo, dove l’azienda si è insediata come riposta alle sfide della globalizzazione.
Il caso Mondragon Corporation è un esempio di come l’azienda abbia creduto di far convivere i valori e i principi cooperativi con il successo economico a tutti i costi, visto quale processo di esternalizzazione di molte attività non più concorrenziali se svolte in Spagna. Nel caso della filiale aperta dalla Mondragon in Tailandia nel 1989, la produzione di un certo componente in Spagna non era più conveniente, pertanto la cooperativa aprì una succursale in Tailandia assumendo 100 lavoratori locali non soci. Anni dopo, i ricercatori di MCC innovarono consentendo di produrre quel componente in Spagna allo stesso prezzo e la produzione rientrò in Spagna, ma la succursale tailandese fu conservata in previsione di successive delocalizzazioni per produzioni differenti.
La visione portata avanti da MCC appare combinare una strategia competitiva globale di delocalizzazione abbinata con un coinvolgimento per lo sviluppo locale: importante è far crescere le relazioni di solidarietà locali, mettendo in riserva un costo legato ai disequilibri esterni dovuti alle nuove delocalizzazioni. Probabilmente nel caso delle sfide globalistiche anche per le cooperative, ovviamente non parliamo solo di Mondragon, siamo difronte ad un modello di cooperazione subordinata e non coordinata.
È un aspetto su cui serve riflettere, cioè su tre alternative possibili ma difficilmente integrabili:
- realizzare localmente il valore economico, sociale e occupazionale della cooperazione esclusivamente all’interno del proprio Paese, senza espandersi oltre confine, per creare lavoro localmente e rispondere così ai bisogni locali
- oppure proprio per garantire tali valori cooperativi nel Paese di origine, è necessario espandersi oltre confine, cercando all’estero la massimizzazione del profitto per delocalizzare segmenti produttivi in Paesi a basso reddito e senza difese sociali
- infine massimizzare sia nel Paese di origine che all’estero le politiche di compartecipazione e cooperazione tra i lavoratori, per rendere più eque le politiche industriali tra regioni in emisferi opposti.
Nella prospettiva C, si colloca ad esempio l’accordo quadro siglato negli USA nel 2010 tra sindacato United Steelworkers (USW) e Mondragon Corporacion Cooperativa per la costituzione di cooperative fra lavoratori negli Stati Uniti e nel Canada. Perché non moltiplicare tale esperienza positiva anche nei paesi asiatici ad esempio come India, Cina e Tailandia dove MCC si è dislocata, invece di stringere contatti di fortificazione del sistema cooperativo solo in occidente? Forse il sistema cooperativo è più adatto nei paesi a capitalismo avanzato e non invece in quelli di recente industrializzazione?
di Massimo Capriuolo
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