L’illusione dell’alleanza: quando l’Italia si consegna a mani vuote
L’incontro alla Casa Bianca tra Giorgia Meloni e Donald Trump, presentato dalla stampa italiana come un successo diplomatico, si è rivelato, nei fatti, un esercizio di sudditanza politica ed economica. Al di là dei sorrisi, degli elogi esagerati e delle strette di mano, l’Italia torna da Washington senza nulla di concreto. Nessun passo avanti sul nodo dei dazi americani che danneggiano i produttori europei, nessun accordo su questioni strategiche per l’economia italiana. Solo promesse vaghe e un generico invito a Roma, che resta privo di una data precisa e, soprattutto, di contenuti vincolanti.
Il presidente statunitense ha elogiato Meloni definendola “un’alleata eccezionale”, sottolineando che “l’Italia resterà il nostro principale alleato finché lei sarà al governo”. Ma, se l’alleanza si misura in atti concreti, allora è evidente che il rapporto è tutt’altro che paritario. Trump non ha mostrato la minima disponibilità a rivedere l’imposizione dei dazi sulle esportazioni europee, un tema vitale per la nostra industria. E questo nonostante l’Italia abbia annunciato ben 10 miliardi di investimenti in territorio americano e nuovi accordi per l’acquisto di gas liquido USA, che aggravano la nostra dipendenza energetica da fonti esterne.
Sul piano militare, l’Italia si impegna a portare al 2% del PIL la spesa per la difesa, come richiesto dalla NATO e sollecitato da Trump, che ha commentato: “Non è mai troppo”. Una posizione pericolosa, che sottrae risorse a settori cruciali come sanità, scuola, ricerca e servizi sociali. Questo tipo di spesa, spacciata per contributo alla sicurezza, in realtà rappresenta un enorme trasferimento di ricchezza pubblica verso l’industria bellica internazionale.
Nel frattempo, le discussioni su temi strategici come l’immigrazione o le missioni spaziali si trasformano in teatrini retorici. Trump e Meloni si sono trovati d’accordo nel puntare il dito contro la cosiddetta “cultura woke”, con Meloni che ha evocato ironicamente Cristoforo Colombo per legittimare un “fronte comune contro il relativismo culturale”. Si tratta di una distrazione ideologica, utile a coprire l’assenza di vere soluzioni per i problemi concreti delle persone: disoccupazione, precarietà, crisi abitativa, tagli ai servizi.
La stampa americana ha ignorato l’incontro, considerandolo marginale. E in effetti, sul piano geopolitico, l’Italia è stata trattata come un attore minore, utile a fornire legittimazione politica ma irrilevante nelle decisioni. Un esempio lampante è il dossier Ucraina: Trump ha ribadito il suo disprezzo per Zelensky e ha espresso un’ambigua equidistanza tra aggressori e aggrediti, mentre Meloni si è limitata a ricordare, timidamente, che “la Russia ha invaso l’Ucraina”. Una posizione isolata, senza peso reale.
In sintesi, questo vertice segna un ulteriore passo verso una politica estera al servizio degli interessi altrui, in cui l’Italia offre molto e riceve poco. Le relazioni internazionali dovrebbero essere costruite su basi di equità, reciprocità e autodeterminazione. Quando, invece, un Paese si comporta come cliente e non come partner, rinuncia alla sua dignità politica e condanna i suoi cittadini a subire le decisioni prese altrove.
Il problema non è Trump, né Meloni. Il problema è un modello di governo fondato sulla subalternità ai centri di potere economico e militare globali. Finché non si rompe questo schema, l’Italia continuerà a tornare a casa a mani vuote. Ma con il portafoglio degli italiani sempre più leggero.
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