La Guerra cambia la Storia
di Claudio Bricchi
La carta delle Nazioni Unite all’articolo 2 obbliga tutti gli stati a risolvere con mezzi pacifici le dispute internazionali.
In Europa, negli ultimi 75 anni, si è creduto che ciò fosse veramente possibile; e questo perché nel vecchio continente l’orrore causato dalle due guerre mondiali è ancora fortemente radicato nella memoria di tutti i cittadini, anche di quelli più giovani.
La guerra fredda, nella realtà, è stata per noi europei un lungo periodo di pace, tale da indurre a crederci immuni ad avventure belliche nel nostro continente. La creazione della comunità europea prima e dell’EU poi, e l’avvento dell’Euro hanno rinforzato questa convinzione, un po’ come se fossimo in una bolla protetta, o come dicono alcuni analisti, abbiamo creduto, in qualche modo, di essere fuori dalla storia.
Abbiamo creduto che il benessere, la relativa ricchezza, ed il conseguente modo di intendere il mondo come un ambiente dove con i soldi si può comprare tutto, anche la tranquillità, fosse lo standard globale. Ahimè come ci sbagliavamo. In fin dei conti basta guardare un atlante geografico per vedere che l’Europa è solo una piccola propaggine dell’Asia. E la fine della guerra (pace) fredda è stata in realtà la fine del nostro isolamento dai sommovimenti del mondo.
Ora, con la guerra in Ucraina, l’aggressore, che un anno fa ci fece capire di essere intenzionato a fare solo una breve “Operazione Militare Speciale” annuncia ufficialmente, per bocca del suo ministro degli esteri, che quello in atto è un conflitto per cambiare, su scala globale, la distribuzione, cioè la gerarchia del potere. A memoria, dichiarazioni di questo tipo si ricordano solo all’inizio della seconda guerra mondiale per bocca di Hitler quando vaneggiava il III Reich che doveva durare mille anni.
Ciò che conta in queste dichiarazioni è il mezzo inteso per raggiungere il fine. Nessuna persona senziente ama essere suddito di qualsiasi potere, ancorché transnazionale. Perciò nessuno di noi vorrebbe vivere in un paese a sovranità parziale cioè vassallo degli Usa, della Cina o della Russia.
La realtà però è che l’Italia e l’Europa sono parte della sfera d’influenza americana. Come scrollarsi di dosso tale influenza è e sarà però un problema nostro, sicuramente non è desiderabile l’aiuto russo, soprattutto nei modi paventati dalle dichiarazioni del signor Lavrov.
Si, perché il trucco retorico del ministro russo è chiaramente quello di sdoganare il concetto di un cambiamento degli equilibri di potere mondiali attraverso la guerra. Ci si potrà chiedere come una guerra, ancorché così cruenta come quella combattuta in Ucraina ma abbastanza circoscritta geograficamente possa sconvolgere il mondo, e qui potremmo naturalmente dare il via a qualsiasi interpretazione, ma quella più logica è che il potere mondiale lo si sconvolge e lo si riordina solo attraverso una guerra mondiale o peggio come dice Juergens Habermas, la prima guerra mondiale tra potenze nucleari.
Dal punto di vista storico un cambiamento paradigmatico Epocale.
Negli ultimi 250 anni le potenze hanno cercato i risultati egemonici soprattutto attraverso il potere economico, cioè cercando di conquistare sfere di influenza attraverso il potere del capitale, dell’ideale di ricchezza, relegando l’alternativa militare al solo aspetto tattico e securitario.
Esempi ce ne sono all’infinito, si va dalle avventure coloniali di quasi tutti i paesi europei fino alle guerre made in Usa fatte solo perché se le potevano permettere, dal Vietnam all’Afganistan, tutte guerre perse ma che non hanno scalfitto l’egemonia yankee.
L’unica interruzione a questa tendenza è stato il nazismo con la sua cultura del super uomo, dell’ottenimento degli obiettivi attraverso le qualità virili di un popolo eletto. Un momento chiaramente antistorico, l’America, campione del capitalismo, ha vinto ed imposto il suo modello a tutt’oggi ancora imperante.
Perciò la sola idea di poter cambiare il sistema mondiale attraverso l’uso della forza, quindi porsi un obiettivo strategico raggiungibile con una guerra globale possiede una forza dirompente, concettualmente quasi rivoluzionaria.
Se il ministro Lavrov ne sia consapevole e con lui lo sia Putin non è dato sapere, certo è che la narrazione degli eventi in Ucraina per l’opinione pubblica interna ricalca esattamente il corollario classico nazionalista. La patria in pericolo, minacciata dall’eterno nemico a cui si contrapporrà l’invitto popolo russo, unico e vero rappresentante dei valori cristiani e occidentali e perciò garantito di una vittoria divina. Narrazione che più medievale non si può, degna dei papi che invitavano alle crociate.
Purtroppo la realtà ci fa temere l’avverarsi di tali evocazioni.
In tutto il mondo si può osservare una corsa forsennata agli armamenti, nessun paese si sente più al sicuro. A cominciare dagli Usa che di gran lunga sopravanzano il resto del mondo per spese militari passando dall’Europa dove i paesi più a contatto con la frontiera orientale si stanno armando spendendo fino ad oltre il 5% del Pil come Polonia, Romania e paesi baltici, ma anche la Germania che già pochi giorni dopo l’aggressione russa all’Ucraina ha annunciato, tra l’esultanza anche dell’opposizione, la spesa straordinaria di 100 miliardi per il riarmo.
La Cina è impegnata a rinforzare le forze armate in previsione dello scontro con gli Usa nell’Indo-pacifico e così via, superando quindi di molto la spesa globale complessiva che nel 2021 è stata di 2100 miliardi di dollari.
Il suolo ucraino ed il suo povero ed eroico popolo sono dunque le vittime sacrificali di un conflitto al momento strisciante, ma sempre più evidente tra il mondo capitalista ed una non ancora ben delineata alternativa ad esso, che al momento è formata dalla Russia che aspira ad essere perlomeno la leader ideologica e una Cina con il complesso dell’egemone in divenire, che fino ad ora ha scopiazzato il modello imperante.
Ma per essere una vera alternativa dovrebbe inventarsi un’identità che ancora le manca, senza cui è impossibile presentarsi al mondo pretendendo di essere meglio di un America, che nella realtà un po’ vacilla a causa del dilagante malcontento interno, e su cui non si dovrebbe distogliere l’attenzione.
Il conflitto in corso corre su una faglia che potrebbe essere il confine tra due epoche storiche, anche se, come è normale in questi casi, lo sviluppo va misurato in decine di anni.
Se si verificherà la fine della globalizzazione economica, ciò darà seguito a modelli non ancora completamente prevedibili, ma che potrebbe, da un lato, essere la creazione del caos globale, con conseguenze nefaste ed imprevedibili, ma se gli esseri umani impareranno qualcosa dal rischio di essersi trovati sul baratro della guerra nucleare, e svilupperanno un sistema che abbandona il modello capitalista per trasformarsi in un’alternativa tale da permettere la sopravvivenza dell’uomo e il conseguente sviluppo di un’economia più umana e perciò più sostenibile, tutto ciò a cui assistiamo avrà avuto un senso.
La speranza allora è che l’articolo 2 delle Nazioni Unite diventi, non solo, parte integrante della Costituzione di ogni paese del mondo, ma che si radichi anche nella coscienza di ogni cittadino e di ogni decisore. Un mondo senza egemoni è un mondo senza guerra.
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