Diritti Umani

Autogestione ed economia della felicità, ecco la transizione che vogliamo di più

Il 2050 sarà il decennio della transizione all’economia della felicità? Esiste la possibilità di una transizione delle grandi aziende private in forma di cooperative autogestitedai lavoratori, in questa metà di 21° secolo, sotto la spinta reciproca tra crisi finanziaria cronica ed emergenzaclimatica globale?

Il tratto caratterizzante del sistema neoliberista è basato sul profitto immediato orientato all’accumulazione e concentrazione del capitale in poche mani, con la riduzione della circolazione monetaria indotta artificiosamente dal capitalismo finanziario. Che alternative abbiamo? Peculiarità del sistema PROUT è un’economia orientata al consumo di beni necessari ed orientati alla sostenibilità, alla massima occupazione e dove massima sia anche la circolazione di moneta. E’ il tema della Democrazia Economica.

Dalla teoria neoliberista alle teorie collaborative

Secondo l’economista neoliberista, Friedrich Von Hayek, ispiratore delle politiche economiche sulle privatizzazioni dalla Thatcher a Reagan, la società si fonda unicamente sull’azione individualistica, senza necessità di regolamentazione. Ancora oggi assistiamo, nell’agenda politico economica italiana e non solo, allo spirito ancora vivo di questo pensiero neoliberista con privatizzazioni, deregolamentazione e tagli continui alla spesa pubblica (sanità, scuola, servizi sociali, disabilita ecc). Di parere opposto, è l’economista e sociologo Jeremy Rifkin, secondo cui in pochi anni, assisteremo all’eclissi del capitalismo e all’avvento di una nuova economia del tutto cooperativa e autofinanziata, basata su nuove entità cooperative. Le cooperative saranno la vera novità e per questo serve che escano dall’ombra, perché rappresenteranno il fulcro della nuova economia partecipata (Mondadori, L’età della resilienza. Ripensare l’esistenza su una terra che si rinaturalizza).

Le cooperative del futuro

Le Coop del futuro saranno profondamente diverse da come le conosciamo oggi. Saranno il centro della vita sociale e il motore di sviluppo delle aree locali, promuovendo benessere collettivo e libertà individuale. Accompagneranno la vita delle persone dai primi anni di ingresso nel mondo lavorativo, fino al pensionamento. Inizialmente sarebbe necessaria una normativa ad hoc più protettiva delle imprese autogestite rispetto a quelle private. In quanto a competizione col mondo delle grandi imprese private, a causa della carenza di istituti normativo-giuridici protettivi, oggi non avremmo nessun incentivo per le cooperative.

La cintura protettiva attorno al sistema cooperativo, potrebbe incominciare con nuove politiche fiscali delle amministrazioni locali, piuttosto che da governo e parlamento nazionali. ed sistema tassativo locale più favorevole verso le nuova entita autogestite, con l’applicazione di maggiori standard sui sistemi di sicurezza e controllo per il rispetto delle tematiche ambientali e di sicurezza sociale e del lavoro, rappresenterebbe lo spartiacque tra maggiore effcacia di un reddito di impresa autogestita in modo cooperativo, rispetto al reddito di impresa orientata all’accumulazione ed alla speculazione. Le amministrazioni locali potrebbero giudicare immediatamente gli effetti degli incentivi allo sviluppo delle risorse cooperative e del loro impatto positivo su occupazione, salute e ambiente. Già a partire dagli anni settanta è iniziato un processo, disomogeneo e frammentato, di transizione partendo dalle aziende in crisi e abbandonate dai capitalisti, con le modalità a partire dalle WBO dall’acronimo di workers buyout, con cui i dipendenti si sono impegnati, anche con l’aiuto spesso di fondi governativi, a rilevare economicamente e gestire le aziende in crisi.

Successivamente si dovrà decidere con tutte le altre imprese capitaliste non in crisi e sulla base probabilmente del voto dei dipendenti come e se passare (gradualmente? con un referendum,…?) da un sistema retributivo salariale, ad un modello retributivo partecipativo e di autogestione cooperativa.

Aspetti macro-economici della transizione

Secondo i dati Inps 2021 le imprese attive in Italia sono state 1.647.000 ed hanno impiegato 14.185.410 addetti, mediamente con un rapporto 1 a 15. Se si trovasse un accordo comune con la buona pace del milione e mezzo di imprese private e i 14 milioni circa di lavoratori dipendenti per associarsi in forma di entità cooperative, avremmo la massima effcienza tra aumento della forza economica di ogni cooperativa e riduzione del cuneo fiscale.

Il sistema della Democrazia Economica, con l’idea della suddivisione tra industrie chiave statali fondate sul concetto del “no loss, no gain”, mondo cooperativo e piccole attività private, oggi appare l’unica soluzione alle innumerevoli domande di giustizia sociale, garanzia dei diritti e salvaguardia del potere di acquisto. Il ritorno occupazionale in termini sia di quantità numerica che di qualità delle prestazioni, il maggior grado di benessere lavorativo, la riduzione drastica degli infortuni e delle malattie da lavoro, la riduzione dell’evasione contributiva, standard qualitativi più elevati nelle produzioni e servizi offerti nei modelli cooperativi autogestiti, supereranno di gran lunga i benefici fiscali e creditizi ricevuti dalla collettività negli start-up iniziali.

Diversi studiosi si sono già avventurati e posti da tempo il quesito se tale transizione secolare sarà pacifica oppure non pacifica, graduale oppure rapida, politicizzata oppure a-partitica, sostenuta o no dalle parti sociali (sindacati e datori di lavoro), sostenuta dal clero e dalle altre entità religiose, non ostacolata dal mondo giudiziario. Forse sarebbe meglio se la transizione potesse avvenire non per decreto, meglio se avvenisse con un processo di crescita culturale, altrimenti il rischio e che le forze di autogestione non avranno attecchimento nella società.

Altro aspetto della transizione al sistema di autogestione, e la necessità della trasformazione dei settori industriali delle materie prime (energia, acqua, minerali) e servizi essenziali (trasporti, sanità, scuola) in settori chiave, ossia gestiti direttamente dallo Stato con il principio del neperdite, neprofitti.

Crisi del neoliberismo, un viaggio di sola andata

Oggi il sistema capitalistico e rimasto intrappolato nella sua stessa ragnatela, con i mercati finanziari che fanno fluttuare i prezzi delle materie prime, portando ad un sempre maggior aumento esponenziale dei prezzi dei beni di prima necessità e con una discrepanza tra i pochi che guadagnano tanto tanto e la maggioranza delle persone che guadagna sempre meno meno. Oggi in Italia l’1% degli italiani più ricchi detiene più del 70% della ricchezza della popolazione. A livello mondiale l’1% della popolazione più ricca detiene più del doppio della ricchezza posseduta dal 90% della popolazione.

Il caso Mediaset

La scomparsa del leader del Biscione probabilmente condurrà ad un declino di questo impero economico. Così e accaduto dopo la morte di Gianni e Umberto Agnelli. La Fiat ha subito un lento e inesorabile declino, con l’allontanamento dal settore auto a cura di Romiti, fino ad arrivare alla gestione Marchionne. E’ il karma di queste tipologie di imprenditori capitalisti e delle loro aziende dopo la propria scomparsa: incomprensioni tra familiari, essere dimenticati, trascinando nelle crisi anche i loro business. Ora che il fondatore di Mediaset non c’è più, forse probabilmente vedremo un declino simile, i figli che non saranno all’altezza del fondatore, la possibilità che si affaccino investitori stranieri che vogliano acquisire l’intero patrimonio aziendale. Passata a queste grandi dimensioni, con la perdita della figura del leader fondatore, per probabile incapacità del management, sarebbe interessante proporre già da adesso un progetto di ristrutturazione ai dipendenti e azionisti: la trasformazione del colosso delle telecomunicazioni in cooperativa autogestita. Possiamo già parlare di Coopset? Oggi problema fondamentale sarebbe la trasformazione di molte aziende medio grandi da società quotate in borsa, in cooperative autogestite, questione complessa che richiederà sia un processo di ristrutturazione che coinvolgerà legalmente i diritti di proprietà i rapporti con i sindacati e la cultura aziendale.

Iniziative in giro all’Italia per un’economia cooperativa

La Cisl ha depositato una proposta di iniziativa popolare Partecipazione al Lavoro per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori. Il sindacato avvierà una campagna nazionale di raccolta firme per dare piena applicazione all’art. 46 della Costituzione, rimasto da sempre inapplicato, che sancisce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende.

Anche il Movimento politico valdostano Adu Vda ha presentato una proposta di legge regionale con l’obiettivo di implementare il Workers BuyOut (WBO), come processo di salvataggio delle imprese in crisi, da parte dei lavoratori e lavoratrici che possono acquisirne la proprietà. E’ già una possibilità legalmente prevista a partire dalla Legge Marcora n.49/1985. L’ipotesi WBO potrebbe rappresentare una efficace soluzione per contrastare la crisi che sta colpendo l’economia valdostana.

Il Paese Italia è pronto per questo grande cambiamento?

Massimo Capriuolo

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