Diritti Umani

Per far rinascere l’Iran, serve uno scossone al ciclo sociale

Tutto quello che non si conosce dell’Iran. Dal ciclo sociale in crisi guidato dagli Ayatollah, agli scossoni che i Paesi occidentali vorrebbero dare alla repubblica islamica, per arrivare ai movimenti di rivolta della società civile iraniana, ma senza ancora una classe leader alla guida del nuovo ciclo sociale.

In Italia nei scorsi giorni è giunto in visita, con tutti gli onori di un capo di Stato e ospite di trasmissioni televisive, l’erede dell’ultimo Scià di Persia, Reza Ciro Pahlavi. Nonno e padre di Pahlavi figlio furono protagonisti già dal 1920 per un mix fra assolutismo, dittatura e oppressione fino agli anni ’70, lasciando il passo alla rivoluzione islamica del 1979 con l’arrivo dell’Ayatollah (uomo santo).

Dal 1980, Reza Ciro Pahlavi, il figlio dell’ex dittatore iraniano destituito dalla rivoluzione anti-monarchica e pretendente al trono, intanto si è ricostruito una nuova vita lussuosa in America grazie anche alla ricchezza sottratta dal precedente regime al popolo iraniano.

Oggi, vari governi occidentali, tra cui anche l’Italia, sembra stiano attuando un processo di revisionismo storico degli anni bui rappresentati dall’imperialismo monarchico degli Scià, minimizzando il dissenso, la censura, la legge marziale, la povertà e le torture a cui popolo ed oppositori erano costretti.

Il regime monarchico dello Scià si mantenne in piedi  grazie allo strumento violento della polizia segreta Savak, che come la terribile Gestapo nazista che era ammirata, imponeva cieca obbedienza al popolo iraniano con omicidi, torture e altri orrori.

Ricordiamo che il 5 dicembre 1978 l’economista Ravi Batra, professore alla Southern Methodist University di Dallas e ricercatore del PROUT, predisse che lo Scià dell’Iran avrebbe perso il trono, cosa che accadde il 16 gennaio 1979 (libro Muslim Civilization and the crisis in Iran). Inoltre, predisse l’arrivo alla guida dell’Iran della classe degli intellettuali (clero islamico), come evoluzione del ciclo sociale fino ad allora guidato dai guerrieri (monarchia assolutista), giunti oramai nella fase discendente del ciclo sociale.

Questo periodo è durato circa 40 anni, con una fase iniziale ascendente per la difesa dei diritti sociali e rispetto delle libertà ed una fase successiva discendente, che sopravvive fino ai nostri giorni, caratterizzata da sfruttamento, dittatura religiosa e soppressione delle libertà.

All’indomani della rivoluzione islamica del 1979, ad opera del clero intellettuale a guida del Paese in balia del caos, in collaborazione con alcuni ceti medi, la società iraniana ha vissuto un breve periodo di progresso al quale è succeduto, sino a nostri giorni, un regime dispotico, che anche in tale fase ha seguito la teoria dell’evoluzione del ciclo sociale esposta da P.R.Sarkar. Oggi il processo di rivisitazione storica occidentale e di apprezzamento dei discendenti ereditari del regime dell’ultimo Scià di Persia, inconsapevolmente vorrebbe indirizzare l’evoluzione del ciclo sociale iraniano verso una fase post-clericale, guidata da una classe capitalista che ancora stenta ad riapparire in auge.

Attualmente il ciclo sociale degli Ayatollah ha già esaurito tutte le sue componenti un tempo innovative e si è inviluppato all’interno di un’élite oggi autoritaria e dispotica. Occorrerà una fortissima pressione, meglio se interna all’Iran, affinché la società post-religiosa si innovi verso un nuovo ciclo sociale, sotto la guida della classe degli acquisitori per un riammodernamento ideale, culturale, educativo, tecnologico.

È infatti da settembre scorso che proseguono le manifestazioni di dissenso nei confronti del regime iraniano. Con le proteste che inizialmente erano organizzate solo per vendicare i responsabili della morte della giovane Mahsa Amini, si è passati poi ad un movimento nazionale di vera e propria rivolta contro l’obbligo del velo, l’oppressione delle libertà individuali e dei diritti civili. Oggi assistiamo increduli all’avvelenamento nelle scuole con gas di migliaia di studentesse, senza conoscerne ancora causa e colpevoli.

C’è timore internazionale che questa rivolta assuma una connotazione politica fuori dal controllo delle superpotenze e per questo si starebbe pensando a rivalutare la figura di Ciro Pahlavi quale discendente diretto dello Scià, forse unico leader iraniano capace a stabilizzare l’Iran e allo stesso tempo fare gli interessi delle multinazionali occidentali?

Questa azione potrebbe essere definita come un’accelerazione esterna alla società iraniana, del processo già in atto di decadimento della leadership religiosa in forte attrito con la volontà di libertà ed emancipazione della popolazione iraniana. Probabilmente, questo recupero di una forma nostalgica di leadership monarchica controllabile dall’Occidente, viene vista meglio rispetto a qualsiasi altra alternativa di nuova leadership iraniana autoctona, i cui lineamenti oggi sarebbero opachi.

Oggi chi protesta non sono solo donne, perché ci sono anche tanti uomini. Non sono solo i giovani, perché ci sono anche gli anziani. Possiamo dire che il malcontento oggi sia intergenerazionale e interclasse, riguardando trasversalmente tutti i ceti sociali, anche la media borghesia.

Nel caso si avverasse tale accelerazione, sempre alla luce della teoria del ciclo delle classi sociali di Sarkar, vedremmo il passaggio del controllo dalla classe degli intellettuali in fase discendente, alla classe economico-finanziaria che attualmente è ancora poco visibile in Iran: gli acquisitori.

Il ruolo di appoggio internazionale per l’accreditamento della famiglia Pahlavi a guida di un’eventuale nuova repubblica iraniana, rappresenterebbe la manifestazione di interesse a superare il blocco al ciclo sociale degli Ayatollah, per sostituirli con una classe dirigente orientata al capitalismo di stampo occidentale. Significherebbe esportare il modello occidentale neoliberista all’interno di un ciclo sociale iraniano che paragonato con il periodo storico europeo, equivarrebbe ad un salto epocale equivalente tra feudalesimo e prima rivoluzione industriale.

C’è un però. Oggi l’economia iraniana è povera, cioè internamente è ancora priva di quella struttura economica che possa far crescere una nuova classe sociale economicamente orientata e in antitesi a quella intellettuale religiosa.

Per raggiungere tale obiettivo, ciò vorrebbe dire prima allargare, dall’interno del Paese, le potenzialità della base dell’economia iraniana, investendo in medio grandi attività produttive, dal settore commercio, artigianato, industrie e agricoltura. Solo dopo, vi sarebbero le risorse sane per poter procedere e insediarsi nei punti chiave del sistema socio-economico iraniano.

Inoltre, benché la famiglia  Pahlavi stia dimostrando di volersi porre a capo del movimento di opposizione al regime religioso, tali buoni propositi verranno delusi dal profondo risentimento che il popolo iraniano nutre ancora nei confronti del padre e del nonno e che condussero alla famosa rivoluzione antimonarchica del 1979, con il rovesciamento della dittatura di Pahlavi ed al suo esilio.

Le lezioni della Storia spesso si ripetono e ci insegnano a capire. Mentre la legge del ciclo sociale è una regola ciclica alla quale i sistemi politici non possono sottrarsi, d’altro canto quando si intende esportare il nostro sistema democratico nel mondo, si rischia solo di produrre disastri. Abbiamo assistito tutti alle grandi destabilizzazioni sociali avvenute in questi anni ad opera dei Governi occidentali in Iraq, Afghanistan e Libia, per la lotta del petrolio. Oggi si vorrebbe ripetere la stessa storia in Iran?

Ovviamente il petrolio è stato e sarà la chiave delle politiche capitaliste, per l’esportazione del modello di democrazia politica per la sostituzione dell’élite al potere, che prima in Iraq, poi in Afghanistan, in Libia e oggi in Iran hanno enormi interessi economici.

Viene utilizzata la molla del petrolio per sostituire pezzi di classi sociali con un sistema neoliberista, dimenticando che là dove esiste un sistema guidato da una classe militare, occorre insediare una nuova classe intellettuale, e là dove c’è un sistema a guida intellettuale, serve a guida una nuova classe di acquisitori, meglio se nativa.

Massimo Capriuolo

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