Guerra

Europa. Unirsi per non svanire

Il sogno di un’Europa unita, nato a Ventotene nel 1941 tra gli oppositori del Fascismo al confino, dalla penna di Gualtiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, non si è potuto realizzare negli oltre ottant’anni che da allora sono trascorsi. L’ordine mondiale creatosi dopo la fine della seconda guerra mondiale, cioè la spartizione del globo in zone di influenza americane e russe chiamato anche guerra fredda non poteva permettere la nascita di un nuovo soggetto indipendente in Europa, formato sia da vincitori che da vinti. La storia ci mostra che possibile fu solo far nascere entità o istituzioni economiche, dato che l’Europa veniva ed ancora viene vista dagli Usa come un luogo di grande importanza strategica del loro impero informale. Così per più di mezzo secolo, fino al disfacimento dell’URSS nel 1991, e poi continuando per altri trent’anni, molti cittadini europei hanno avuto l’impressione che si stesse costruendo l’Europa. La realtà è che le istituzioni europee quand’anche si chiamino Europa Unita, Parlamento europeo, Commissione europea ecc. non sono sufficienti a far nascere nulla che assomigli ad un’entità statuale. Il motivo è che semplicemente non c’è, da parte di nessuno dei 27 paesi membri, alcuna volontà o interesse, anche minimo di creare qualcosa d’altro o di più di ciò che già esiste. Tutti i paesi membri hanno aderito all’Unione consci delle opportunità economiche che essa garantiva; per i venti che aderiscono all’unione monetaria è lo stesso, con forse una motivazione in più, non esprimibile apertamente, per quanto riguarda la Francia e l’Italia, cioè il contenimento e il controllo della Germania, come a suo tempo fece capire Mitterand, in questo sostenute dagli Usa.

E’ chiaro quindi che queste non sono le condizioni ideali, ma nemmeno minime, per fondare uno stato quand’anche federale, come ipotizzavano i tre di Ventotene. Dovremmo allora dimenticarci del loro sogno?

Il mondo sta cambiando molto velocemente spinto da eventi e situazioni nuove che sono tutte foriere di grandi rischi per paesi piccoli, ricchi e sopratutto senza un’idea di cosa fare di sé; esattamente la situazione, a parere di chi scrive, in cui si trova la maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale. Gli Stati Uniti stanno progressivamente perdendo il controllo del mondo, e ne sono loro stessi così consapevoli che il loro consigliere alla sicurezza nazionale Jake Sullivan arriva a dire che la globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi trent’anni non serve più a garantire all’America le condizioni per la supremazia. In altre parole ammette che gli Usa non sono più così potenti come prima, ma sopratutto autorevoli come lo sono stati fino ad ora, ma anche che non sanno bene ancora come correre ai ripari. Lo si vede chiaramente nelle nuove dinamiche che mobilitano paesi autoritari che fino a poca fa erano schierati con gli Usa ma che ora si sentono più in sintonia con loro consimili come Cina e Russia. Parliamo di Arabia saudita come di altri paesi del Golfo e molti paesi africani, senza dimenticare la Turchia e alcuni paesi sudamericani come il Brasile.

La corsa forsennata agli armamenti di questi ultimi due anni ha raggiunto picchi di spesa mai visti prima e non può che far presagire il peggio.

L’Europa impegnata nei propri provincialismi, impaurita e disorientata da avvenimenti che non controlla e che destabilizzano la sua impronta economicista, impreparata ad affrontare la lotta globale che si è innalzata oltre la dimensione puramente economica non sa che fare, tagliata fuori dal potere decisionale mondiale e rallentata dagli interessi divergenti dei 27 dovrebbe effettuare un cambio di passo che al momento non è nelle sue corde. Il termine stesso di Europa dovrebbe essere temporaneamente posto da parte perchè al di là del significato geografico non ha al momento alcun valore politico. Un progetto continentale nella forma federale portato avanti da due o più paesi decisi ad unirsi per pesare globalmente nella politica estera, per rafforzare le proprie economie nazionali sulle basi dall’autosufficienza sopratutto alimentare salvaguardando il lavoro, creando le basi per una vera politica della sicurezza scevra da tentazioni imperialiste, proponendosi come esempio per il resto del continente è al momento pura utopia. Eppure questa strada è l’unica che darebbe un senso e una prospettiva di futuro indipendente dalle egemonie, perciò vivibile per i cittadini europei. Le nazioni sono sempre nate tutte da forme di violenza imposte da regnanti o vicini potenti.

Un movimento di popolo che aspiri ad unire paesi che da secoli sono separati si è visto solo forse nell’Italia risorgimentale dove le elite progressiste di regni, ducati e Stato Pontificio che parlavano lingue differenti hanno deciso che solo tutta la penisola poteva essere la nuova patria e si sono dati una nuova lingua nazionale, conservando tuttavia la ricchezza delle lingue e delle tradizioni locali.

Ebbene anche l’Europa è una penisola relativamente piccola attaccata all’Asia. C’è bisogno di progressisti che al contrario dei nazionalisti siano capaci di vedere in un italiano, in un francese, in un belga, in uno spagnolo, in un tedesco ecc un cittadino simile a sé. Che creino perciò un movimento di unione che scardini ciò che fin’ora ci ha diviso, che siano capaci di lavorare insieme e di capirsi perché plurilingui, che mostrino al mondo che uniti su base egualitaria si progredisce e si creano le condizioni per la pace. Che lottando per valori universali trasformino l’utopia in realtà. L’ideale inseguito da Gualtiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni avrà bisogno certamente di più di ottant’anni per realizzarsi, ma per noi europei resta l’unica strada possibile.

Claudio Bricchi

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