Guerra

Il vincolo esterno

Che cosa è il vincolo esterno e perché ogni compagine governativa non può non tenerne conto? La paternità della definizione è di Guido Carli, a lungo governatore della banca d’Italia e ministro del Tesoro.

di Claudio Bricchi

Il Vincolo Esterno indica l’insieme degli accordi internazionali ai quali l’Italia ha aderito per varie circostanze, legate o slegate fra loro, a partire dalla ricostruzione post-bellica.

L o status internazionale dell’Italia è quello di essere una provincia dello IEA (impero europeo dell’America), calzante de-finizione di Lucio Caracciolo.

Quello americano è un impero che non necessita di confini tracciati sulla carta, forte del fatto che, apparentemente, le sue province vi aderiscono liberamente. È un impero nella sostanza quindi, non nella forma.

Occorre partire da questa realtà per ragionare sul concetto del cosiddetto vincolo esterno e capire cos’è e quali conseguenze comporta e perché da oltre 75 anni influenza non solo la politica estera italiana, ma anche molte delle scelte in politica interna.

Oggigiorno si tende a dimenticare, o perlomeno a sottovalutare il fatto che l’Italia con Germania e Giappone hanno perso la seconda guerra mondiale, considerando tale vicenda ormai argomento da libri di storia. Non è cosi, perché coloro che quella guerra l’hanno vinta non solo non dimenticano ma sono molto attivi a non farla dimenticare da nessuno, specialmente ai perdenti. Le potenze vincitrici, non solo ci hanno imposto le condizioni della resa, che da allora influenzano e determinano la nostra posizione nel mondo ma, da auto eletti membri del consiglio permanente dell’ONU, Usa, Russia, Cina, gran Bretagna e Francia vogliono continuare ad avere influenza sul nostro destino così come su quello di tutti gli altri paesi.

Da allora in poi, nel corso del dopoguerra, lo stato di sovranità limitata è stato una costante della realtà italiana, anzi, entrando a far parte, di volta in volta, di organismi internazionali di sicurezza, economici, finanziari e monetari siamo stati costretti a cedere ampi segmenti di sovranità. Non si vuol con questo dire che tutto ciò sia stato negativo, in alcuni momenti della nostra storia e, forse persino ora, essere obbligati a tenere la barra in una certa direzione è stato ed è perfino positivo (cronicamente incapaci di esprimere una strategia non sapremmo dove andare da soli), però occorre sempre tener presente che essendo l’Italia un paese prettamente economicista, cioè che utilizza le proprie energie esclusivamente per creare benessere a scapito dell’autorevolezza internazionale ci siamo inconsapevolmente indeboliti perché non ci siamo resi conto che il mondo nel frattempo è cambiato, e che la bolla di benessere non è più sufficiente a proteggerci.

Al contrario di Germania e Giappone, seppur per condizioni diverse, ci siamo indeboliti a causa del nostro enorme debito pubblico.

Nel 2023 l’Italia deve reperire sui mercati circa 600 miliardi di euro solo per poter finanziare il debito, la facilità o meno a farlo è determinata dal parere delle agenzie di rating che sono tutte americane; anche qui si vede quanto importante sia il nostro rapporto con gli Usa e quanto robusto ed invasivo sia il vincolo esterno.

Non dobbiamo però lasciarci prendere dal vittimismo anche se ciò è spesso una nostra caratteristica; se guardiamo in una prospettiva storica vediamo che l’attuale condizione deriva direttamente dal tentativo autarchico fascista che sprecò il capitale di credibilità e benevolenza creato durante la prima guerra mondiale dichiarando avversari gli alleati di allora, cioè Francia e Inghilterra che durante le guerre d’indipendenza ci avevano aiutato contro l’Austria (la Francia) e contro i Borboni (l’Inghilterra).

Il velleitario avventurismo mussoliniano, che ormai fuori tempo massimo cercava di creare un impero e l’alleanza con l’altra potenza antistorica e nazista ci ha scaraventato nella condizione di paria internazionali.

La fortuna dell’Italia nel dopoguerra di far parte del campo occidentale ha permesso alle notevoli energie e capacità nazionali di esprimere il potenziale intrinseco nella popolazione italiana.

Ma la classe politica non è stata all’altezza del suo compito e specialmente negli ultimi trent’anni non si è resa conto dei cambiamenti epocali che la fine della guerra fredda e l’emergere di nuovi protagonisti nella scena mondiale preparavano la fine di un’era.

Il problema è capire quanto durerà questa situazione, come sarà e quanto costerà in termini economici e sociali l’eventuale nuovo ordine mondiale.

Certo è che se l’Italia continuerà nel suo atteggiamento passivo sperando nello stellone nazionale dovremo prepararci a tempi grami. Il nostro declino demografico, il conseguente invecchiamento della popolazione, la mancanza di una politica migratoria assertiva all’interesse nazionale, l’impreparazione mentale ai sacrifici necessari a risalire la china e i conseguenti problemi sociali sono una garanzia di come sarà il nostro futuro. Credere alle promesse elettorali di partiti che prospettano formulette puerili per risolvere problemi enormi vuol dire mettere la testa sotto la sabbia.

Solo comprendendo la propria situazione, cioè divenire consci di se stessi ci permetterà di decidere cosa è meglio per noi.

La nostra debolezza non ci permette fughe irrazionali in avanti. Per uscire dalla nostra situazione occorre pensare e progettare nel lungo periodo, occorre pensare a dove vogliamo essere fra dieci, venti o trent’anni. Occorre sviluppare la capacità di trarre i massimi vantaggi dalla nostra situazione odierna, anche da quelli derivanti dal vincoli esterni.

Ma soprattutto occorre una nuova forza morale. Il popolo italiano, per la sua storia e per la sua cultura è uno tra i popoli più capaci, se riusciremo a far uscire queste potenzialità, esprimeremo automaticamente anche una classe politica adeguata alle sfide che dovremo affrontare, una inevitabile nuova questione morale quindi. Pena il declino.

Claudio Bricchi

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