Diritti Umani

Taranto, metamorfosi di una città-fabbrica

di Massimo Capriuolo

Tutto ebbe inizio nel 2008, analizzando un pezzo di formaggio pecorino prodotto con latte di pecore e capre che avevano brucato l’erba soffice attorno ai campi che circondavano l’Ilva.

I risultati furono inesorabili, rilevarono che la diossina, prodotta dai processi produttivi ILVA, si era diffusa nell’ambiente, era entrata nell’organismo dei poveri animali e di conseguenza nella catena alimentare e da quel momento abbiamo iniziato a studiare i danni ambientali e i gravissimi effetti provocati sulla salute della popolazione.

E siamo arrivati alla fine di questo complesso 2022 sia per la popolazione di Taranto, che per la nuova Acciaierie d’Italia spa, la più grande acciaieria d’Europa. Molti consigli di amministrazione sono cambiati, senza vedere ancora uno spiraglio di luce, con molti reparti di lavoro, in parte sotto sequestro e in parte fermi perché rientranti nel piano di disinquinamento ambientale. Ad oggi non c’è, a parere della magistratura ed a detta della città di Taranto, un miglioramento ambientale e della qualità di vita, nonostante molti reparti addirittura siano fermi.

Nei giorni scorsi dopo che al Senato il nuovo Ministero delle Imprese, ex-Mise, aveva deciso di sospendere la richiesta di ricapitalizzazione per un importo pari a circa 1 miliardo di euro, di Acciaierie d’Italia presentata da Arcelor-Mittal, a causa dell’assenza di un piano industriale, oggi nel Decreto mille proroghe, il Governo quel finanziamento diversamente l’ha concesso a occhi chiusi, dicono i sindacati. Senza il tanto atteso piano industriale o una convergenza con le parti sociali, per cui le OO.SS. hanno proclamato sciopero dal 12 al 14 gennaio a Taranto.

Mentre i concittadini continuano a subire questo stato di errata gestione degli impatti ambientali, anche su denuncia ONU, senza vedere ancora la luce in fondo al tunnel, lavoratori e lavoratrici, in quanto anche cittadini e fruitori degli effetti del proprio lavoro sulla città, si trovano schiacciati tra incudine e martello.

Tra un socio privato di maggioranza che non avrebbe più liquidità per pagare le numerose aziende appaltatrici dell’acciaieria, anche a causa del mancato accesso al credito. Tra i fornitori Snam ed Eni che non intendono più rifornire energeticamente l’azienda, per i grandi debiti accumulati. La magistratura che non intende riaprire i reparti sequestrati, anzi, da testate giornalistiche, si apprende che avrebbe aperto nuove indagini su componenti delle autorità ambientali per mancata vigilanza. Il Ministero che inizialmente non intendeva passare da bancomat di Arcelor-Mittal, ma poi di fatto sembra essersi arreso. La Regione che non ha completato i corsi di formazione dei lavoratori in cassa integrazione sotto Ilva in amministrazione controllata, al fine di riassorbirli nel nuovo asset, pronti per essere formati e qualificati nel 2025, speriamo.

Quindi la posizione attuale del Governo oscillerebbe, come un pendolo, tra un no e un si ad una eventuale e totale nazionalizzazione dell’acciaieria, con negazioni e poi affermazioni di ricapitalizzazione a senso unico del socio privato, inspiegabili ai sindacati. Prima con stop e poi con un lascia passare all’aumento del capitale dell’attuale socio pubblico Invitalia sotto controllo del Ministero, che passerebbe da un 39% al 70%, fino ad un ipotetico 100%, a patto che si realizzasse un vero piano industriale e che le misure ambientali, fossero concluse e certificate, ma oggi non si sa. Stante le frequenti alternanze di posizioni, a quale far riferimento?

Sorge a questo punto una ovvia riflessione: ma il ministero deve attendere che una  multinazionale, titolare delle maggioranze di quote, debba ancora elaborare un piano industriale per l’acciaieria?

Oppure sarebbe forse più una responsabilità della politica e del Governo, in questo come in tanti altri casi di crisi nei poli industriali, esercitare il diritto-dovere di pianificare lo sviluppo industriale di un intero comparto produttivo e di un vasto settore, localizzato non su un territorio ordinario, ma avvinghiato all’interno di una città, con effetti sulla filiera economica italiana ed europea?

Infine nell’ultimo decreto legge di dicembre sulle imprese di interesse strategico nazionale,  è stato introdotto anche uno scudo penale per assicurare la continuità anche a dispetto di eventuali reati ambientali e quindi con ricadute sanitarie sul territorio.

Le metamorfosi, come in quelle famose di Ovidio, probabilmente proseguiranno a causa della complessità del polo tarantino e per un deficit di democrazia economica insita anche in Italia. Ma per tenere dritta la barra del timone in questa tempesta ecologica, sanitaria ed economica, possiamo provare a immaginare e proporre alcune soluzioni ispirate alla Teoria dell’Utilizzazione Progressiva.

1) La gestione di industrie che trattano materie prime, com’è il caso dell’acciaio per i settori automobilistico-edilizia- elettrodomestici e altri, dovrebbe secondo il Prout avvenire con le “Industrie Chiave”, a conduzione pubblica, statale, in base al principio né perdite né profitti. Sul caso ex-Ilva Taranto nella situazione odierna, ci troveremmo dinanzi a diverse soluzioni possibili che qui si cercherà analizzare e sintetizzare.

  1. A) Pensare oggi ad una nazionalizzazione del sito produttivo, significherebbe, come il Governo in carica sembrerebbe palesare, il raddoppio di produzione. In assenza di tecnologie prontamente utilizzabili e tanto per dire meno inquinanti rispetto al carbone, sostengono in molti che ciò comporterà immediatamente un’ulteriore e dannosa pressione ambientale e ospedaliera sulla città. Oggi stando ai fatti, il primo polo d’acciaio d’Europa potrebbe diventare una risorsa chiave ultra-nazionale, a costo di immolare sull’altare la salute di bambini e adulti predestinati, con nuove diagnosi di tumori.

A dispetto di un beneficio economico immediato per la maggioranza delle industrie europee, si aprirebbe la strada ad un peggioramento delle condizioni ambientali e sanitarie dei residenti locali, a Taranto e dintorni. Questi sono i sacrifici “degli altri” con cui spesso il capitalismo capitalizza i propri profitti.

Per questo motivo, oggi il polo siderurgico, se solo pubblico, diventerebbe ancora più esteso, con l’effetto di aggravare una pressione sul già precario sistema ecologico-sanitario del territorio, con il solo beneficio economico dell’indotto economico europeo.

  1. B) Se rimanesse nelle mani di una multinazionale in quota maggioritaria, non darebbe garanzie di sufficiente empatia alle incessanti richieste della popolazione ed istituzioni di riduzione della produzione ed eliminazione radicale delle cause dell’inquinamento e delle ricadute sanitarie.
  2. C) Infine, se si consolidasse un’autogestione esclusivamente su base cooperativa, non si riuscirebbe a gestire un tale complesso apparato tecnologico che necessita di enormi e continui capitali finanziari.

Ancora in questi giorni da parte delle istituzioni, cittadinanza e  magistratura, giunge un’unica pressante richiesta parallela sia di accelerazione dei processi di disinquinamento, che di ridimensionamento del polo, per ridurre nell’immediato gli impatti negativi per salute e ambiente.

  1. D) Un’ulteriore proposta che potrebbe adattarsi in tale contesto traballante, sarebbe una gestione mista con la creazione di una nuova joint-venture con un modello pubblico-cooperativo, trasformando in cooperativa, anche grazie alla Legge Marcora, una quota dell’attuale socio privato Arcelor-Mittal, che verrebbe così liquidato. Un laboratorio nazionale e un nuovo patto sociale che vedrebbe convergere interessi geo-politici nazionali, un nuova classe di lavoratori e lavoratrici nello scenario economico produttivo, la gestione locale di una risorsa sovranazionale, garantendo però benefit alla popolazione locale.

Si giungerebbe ad una nuova compagine societaria basata sulla collaborazione di 2 nuovi soci: il primo minoritario con una coop o multiservice coop di una parte dei soci-lavoratori nei reparti più manutentivi e produttivi che dovrebbe avere anche potere decisionale e di spesa sulle tematiche ambientali lavorative e d’impatto ecologico sulla città, nonché sulla sicurezza sul lavoro. Svolgerebbe anche funzione di tutela degli interessi legittimi alla salute della popolazione e di spina nel fianco in caso di eventuali negligenze della quota pubblica nella gestione sanitaria ed ambientale del sito. Il secondo, maggioritario ed attualmente in carica, rappresentato da Invitalia come socio pubblico, per la gestione manageriale ed economico-finanziaria del sito, con assunzione dei quadri e reparti scientifici ed energetici.

2) Assunzione dei migliori ricercatori e studiosi per individuare ed applicare le più avanzate tecnologie sia per prevenire l’inquinamento industriale siderurgico, che ridurre l’impatto ambientale su tutte le matrici ambientali e alimentari. Sul piatto delle possibili scelte attuabili alla decarbonizzazione, la transizione ecologica punta ad una riconversione alle fonti energetiche alternative. Ad oggi il primo parco eolico offshore in Italia e nel Mediterraneo, realizzato proprio a Taranto ad aprile scorso, servirà solo ai fabbisogni energetici della città, con le turbine della MingYang Smart Energy, i più grandi produttori cinesi di turbine eoliche. Con un tempismo perfetto, la mossa a dicembre dell’UE ha stanziato 1 miliardo di finanziamento per la transizione ecologica della zona di Taranto e per creare un acciaio green, con l’obiettivo di realizzare nuovi parchi eolici e produzione di idrogeno a fabbisogno dell’acciaieria. Però studi recenti affermano che nell’immediato, l’idrogeno è  difficile da produrre e che una produzione massiccia comporterebbe maggiori emissioni di gas serra più delle altre fonti, con rischio di aumento del surriscaldamento. Qualunque scelta tecnologica, societaria e di transizione ecologica del polo siderurgico dovrebbe passare preventivamente da un forte controllo e partecipazione delle istituzioni e della popolazione locale per il tramite di una rappresentanza lavorativa autonoma rispetto alla quota pubblica.

3) Auto-produzione delle stesse tecnologie antinquinamento utilizzate in situ, al fine di creare un circolo virtuoso tra problema e soluzione.

4) Elaborazione di un nuovo piano di sviluppo industriale da parte del Governo in concertazione con le parti sociali e le istituzioni, sia rivolto al sito visto nella sua dimensione di pericolosa vicinanza alla città, che del comparto siderurgico in quanto concentra gran parte delle potenzialità europee di comparto.

5) Possiamo affermare che non c’è organizzazione vincente, senza leadership trainante. Le aziende pubbliche italiane hanno avuto molto spesso solo capi e non leader. Enrico Mattei con l’esperienza dell’IRI fu un leader. Ciò che occorre oggi è una guida di spicco come amministratore responsabile, visionario, capace di dedizione e passione, che conduca ad una comunione d’interessi, solidarietà, spirito di servizio, garanzia di azione economica nel rispetto delle leggi e dei diritti dei lavoratori.

L’Italia non ha una scuola di alta formazione dedicata per manager pubblici, utilizzando amministratori provenienti da realtà manageriali private, di tutto rispetto, ma che ragionano e agiscono con gli stessi valori di aziende che fanno solo profitto.  L’avvenuta nomina del generale Graziano alla guida di Fincantieri, rappresenta l’inizio di un cambiamento?

Non c’è tempo per aspettare, anche i Sindacati dovrebbero indirizzarsi urgentemente verso delle strategie coraggiose, in quanto oggi la tutela della salute e la difesa occupazionale devono passare attraverso nuovi modelli di sviluppo industriale basati sulla Democrazia Economica, il decentramento sul territorio, la partecipazione attiva della comunità locale ai destini socio-economici, come unica forma organizzativa dove gli interessi dei produttori e investitori coincidono con quelli della popolazione locale lavorativa.

Tarcisio Bonotto

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